Lucio Moderato interpellato dal più importante istituto di ricerca del mondo sui disturbi comportamentali*
Il metodo Superability sbarca negli Stati Uniti. Lo scorso aprile, il suo ideatore, Lucio Moderato, direttore in Sacra Famiglia dei Servizi per l’autismo, è stato chiamato dal Kennedy Kreagher Institute di Baltimora per un confronto scientifico. «Mi hanno coinvolto – spiega Moderato – nella valutazione di un caso, che abbiamo in trattamento in Italia. La famiglia ha chiesto un consulto in questo centro e mi ha voluto al suo fianco. In questo modo abbiamo potuto mettere a confronto il modello Superability con le loro metodologie».
Il Kennedy Kreagher Institute è il centro di studio più importante al mondo in termini di problematiche riguardanti l’autismo e i disturbi comportamentali. La permanenza di Moderato, autofinanziata, è durata una settimana. «Le giornate – racconta il direttore dei Servizi per l’autismo della Sacra Famiglia – scorrevano intense. Gli americani hanno attrezzature e personale che noi non abbiamo. Su ogni caso ci sono quattro operatori, due che agiscono e due che osservano e registrano dati. Sul piano dei contenuti, invece, non ci sono grosse differenze. Ho potuto constatare che l’approccio, basato sulla metodologia comportamentale, è lo stesso».
Il centro scientifico di Baltimora è dotato di strutture all’avanguardia e raccoglie i migliori studenti selezionandoli da tutto il mondo. Per effettuare dei tirocini bisogna pagare somme elevate. «Rispetto a loro – continua Moderato – avremo meno possibilità, ma non possiamo ritenerci inferiori. Hanno procedure e protocolli molto rigidi mentre noi siamo più flessibili e creativi. Ho avuto modo di ammirare la loro capacità organizzativa e quella di lavorare in squadra. Non è solo una questione di risorse economiche, ma di mentalità. Noi siamo più individualisti mentre lì è molto sentito il rispetto della gerarchia».
Sul piano prettamente scientifico, invece, Moderato trova il modello Superability leggermente più funzionale rispetto ai sistemi americani. «Loro – dice – non hanno l’approccio di counseling, cioè il far lavorare la persona a casa o a scuola coinvolgendo e accompagnando genitori e insegnanti al cambiamento e alla realizzazione dell’intervento nei luoghi di vita. Gli americani fanno tutto in istituto, magari mettendosi dietro un vetro a specchio a osservare gli operatori che lavorano con il bambino autistico. Sono più ambulatoriali mentre noi abbiamo un legame più realistico con la vita quotidiana e lavoriamo per sviluppare l’indipendenza del soggetto. Il nostro approccio è più naturale, magari perdiamo un po’ in precisione, ma mai termini di rigore. Questo aspetto è stato colto da loro tanto che la direttrice dell’istituto, Julia O’Connor, mi ha espresso il desiderio di ricambiare la visita e di venire in Italia a osservare da vicino il nostro modo di lavorare».
*Intervista a cura di Generoso Simeone
