Al via le attività 2017-18 di GioCare!
L’associazione dilettantistica sportiva GioCare nasce per promuovere la pratica sportiva a favore di ospiti, dipendenti e familiari di Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus.
Lo sport è educativo quando attiva e aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi e quando ha la capacità di tenere insieme e far coesistere le persone.
Generare opportunità d’incontro tra esperienze di vita diverse per un reciproco arricchimento tra persone con differenti abilità trasforma lo sport in uno strumento di inclusione sociale.
GioCare propone le seguenti specialità:
- calcio integrato, golf, nuoto, atletica, orienteering, danza e bocce – a Cesano Boscone
- atletica – ad Abbiategrasso
- gruppo di cammino, atletica e bocce – a Varese-Cocquio
- atletica e nuoto – a Verbania-Intra
Per informazioni contattare:
Doris Carsenzuola 366 9626435
Nello Incoronato 335 1008517
Emidio Novali 339 7322618 per la sede di Cocquio
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Nel 2014 è nato l’Alzheimer Cafè di Fondazione Sacra Famiglia come luogo di incontro tra persone affette da Alzheimer e/o altro tipo di demenza, e i loro caregiver (famigliari, badanti, ecc.).
Ogni 15 giorni a Settimo Milanese malati, personale qualificato e volontari vengono coinvolti in varie attività - come stimolazione cognitiva, attività manuali espressive e creative, attività motoria, uscite sul territorio programmate, e altro - mentre chi si occupa del malato affronta temi specifici legati alla malattia con gli specialisti per ricevere informazioni sulla gestione della malattia, su come accedere alla rete dei servizi territoriali, sentendosi supportato nella quotidianità anche all’interno dei gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto.
Ogni incontro si chiude con un momento conviviale, con merenda e intrattenimento musicale.
Il calendario degli incontri 2017-18 è il seguente:
- 12 e 26 Ottobre 2017 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 9 e 23 Novembre 2017 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 14 Dicembre 2017 giovedì ore 15.00 – 17.00 Festa natalizia
- 11 e 25 Gennaio 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 8 e 22 Febbraio 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 8 e 22 Marzo 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 5 e 19 Aprile 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 3 e 17 Maggio 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00
- 31 Maggio 2018 giovedì ore 15.00 – 17.00 Festa finale
E’ possibile vedere le nostre attività e iniziative accedendo
alla Pagina Facebook digitando Alzheimer Cafè Fondazione Sacra Famiglia
Appuntamento in P.zza Don Milani n. 5 presso l’oratorio San Giorgio di Seguro di Settimo Milanese!
Riflessione sul rapporto tra linguaggio e disabilità. Abbiamo incontrato Cesare Kaneklin, professore ordinario dell’Università Cattolica di Milano e vicepresidente di Fondazione Sacra Famiglia*.
Professor Kaneklin, le parole “Idioti”, “Semi idioti”, “Paralitici”, “Vecchi impotenti”, “Amputati e rachitici”, “Pazzi tranquilli” compaiono nel “Prospetto dei ricoverati” che cataloga le persone ospiti della Sacra Famiglia di Cesano Boscone nel 1910. Cosa ci dicono questi termini del modo in cui la società di allora considerava la disabilità?
Le parole di quel prospetto ci dicono che, all’inizio del secolo, nel definire una persona era molto più accentuato di oggi l’aspetto del confondere la parte con il tutto. Le persone si marcavano a vista d’occhio e ci si fermava a ciò che si vedeva. Oggi consideriamo quei termini spregiativi e anche allora indicavano persone considerate inutili. Ma c’è da dire che le definizioni erano congruenti alle conoscenze di quel tempo. E anche allora, un po’ come oggi, si edulcoravano per non offendere, per cui da quest’ultimo punto di vista non è che abbiamo fatto chissà quali passi avanti. Invece, rispetto a oggi c’è meno l’idea di togliere dalla vista quei soggetti e dimenticarseli. Agli inizi del secolo i soggetti considerati non normali vivevano nelle stalle, lontano dagli occhi.
La Convenzione Onu sui diritti dei disabili del 2006 dà un’indicazione chiara: la definizione da usare è “persone con disabilità”, ponendo quindi l’accento sul concetto di persona. Sono passati dieci anni, ma questa terminologia stenta a imporsi nel gergo comune. Perché?
Perché anche oggi, dal punto di vista culturale, la parte rappresenta il tutto. C’è più rispetto, penso all’arredamento urbanistico delle città, agli edifici pubblici con maniglie per anziani e scivoli per disabili, ma permane un bisogno di marcare le differenze. Il linguaggio che classifica è una sorta di difesa da condizioni di vita considerate poco desiderabili. Oggi tuttavia è meglio di ieri e negli ultimissimi tempi sono stati fatti significativi passi avanti. Penso alle paralimpiadi dove personaggi come Alex Zanardi e Bebe Vio hanno dimostrato come si possano coniugare la vivacità dell’impresa e della gioia con la propria condizione. Con loro è diventato facile identificarsi. Le ambivalenze restano, come dimostrano le feroci critiche a Bebe Vio per la questione del vestito da indossare per la cena alla Casa Bianca. Ma, ripeto, se accanto alla problematica si veicolano anche messaggi positivi, la gente si avvicina. Ad esempio, in Sacra Famiglia la gente viene e partecipa volentieri alla messa domenicale, dove gli ospiti sono coinvolti in modo attivo nella liturgia, perché quello che vede è il sorriso. In definitiva, usare un linguaggio che classifica è legato alle paure. Le persone hanno coscienza delle fragilità, ma le allontanano e non vogliono identificarsi.
Un’altra espressione utilizzata è “diversamente abili”. Qualcuno la critica perché pone l’accento sul concetto di diversità mentre la disabilità è una condizione di vita. Qual è la sua posizione?
“Diversamente abili” è adeguato perché fotografa la situazione: c’è una “abilità” e c’è il “diversamente” nel modo di esprimerla. Tuttavia, per non cadere nel conformismo e nel dibattito moralistico e per capire se questa espressione ci aiuta davvero a camminare più avanti sul piano culturale, bisogna andare dentro i luoghi di cura e verificare se il concetto di “diversamente abili” è stato reso realmente operativo. In Sacra Famiglia lo facciamo con i cosiddetti piani individualizzati, finalizzati a “capacitare” le persone, ovvero a far acquisire loro delle abilità, appunto, assecondando un’aspirazione che poi è quella che abbiamo tutti noi, cioè vivere in modo adeguato.
È un fatto che molti termini usati in passato per definire le persone con disabilità vengano usati nel linguaggio corrente come insulti. Uno per tutti, “handicappato”. Perché è così stretto il legame tra disabilità e insulti?
Nel linguaggio di tutti i giorni le persone cosiddette semplici o della strada usano le parole attinenti alla sfera della disabilità per semplificare la realtà o per identificare rapidamente persone e comportamenti. Non sempre c’è l’intenzione di insultare e, ricorrere a certe espressioni, dipende più che altro dal bagaglio culturale di un soggetto. Poi invece c’è anche una frangia di persone che ha una paura atavica della malattia e della diversità e che usa quei termini per insultare. Sono quelli che non vogliono i disabili nel proprio bar, ad esempio, perché è come se si sentissero invasi.
Altre espressioni come “portatore di handicap” pongono la persona con disabilità in chiave di vittima, con addosso una sorta di “croce”. Perché?
Le persone con disabilità rappresentano in carne e ossa tutto ciò che non vorremmo per noi stessi. E per alcuni questo è intollerabile. Hanno bisogno di non avvicinarsi e di non pensare nemmeno alla dimensione della malattia. La rifiutano. La “croce” è proprio questo: i disabili sono per il nostro egoismo ciò che io non vorrei essere. Si tratta di una reazione primitiva, che poi molti filtrano con il pensiero e l’esperienza di vita. In questo caso tutto diventa semplice e umano. Ma questo è un approdo che dipende dall’educazione e dalla cultura, da quello che ho visto in casa, da come la famiglia si rapporta alla fragilità e alla solidarietà. Un percorso che non tutti fanno.
*Intervista a cura di Generoso Simeone
Domenica 1° ottobre alle ore 16 il Gruppo della Scuola di dialetto del Circolo Filologico di Milano andrà in scena con poesie e canzoni della tradizione milanese presso il Teatro di Fondazione Istituto Sacra Famiglia a Cesano Boscone.
Per info sullo spettacolo "Cià che cicciarom": 02 45677740.
Ingresso con offerta a partire da 8 €
Giovanni Pirovano da nove anni vive ad Albairate, nella comunità alloggio di Fondazione Sacra Famiglia, struttura che accoglie persone con disabilità favorendone l’integrazione con il territorio. Grazie al talento innato e al lavoro degli educatori, Giovanni ha imparato a esprimere le proprie capacità con colori a olio e pennelli. L’incontro con gli educatori di Sacra Famiglia ha guidato Giovanni nel suo percorso artistico perché all’inizio disegnava solo su carta con pastelli e pennarelli. Grazie all’aiuto e all’esperienza di operatori e volontari dei laboratori, Giovanni è riuscito a rappresentare la propria arte su tela, con colori a olio e pennelli, migliorando le sue capacità con grande soddisfazione personale.
Dalla sua produzione sono tratte le opere esposte, con ingresso libero, dal 29 settembre al 1° ottobre al Centro Civico del Castello Visconteo di Binasco (MI) con il titolo “Viaggio artistico tra natura, territorio e spiritualità”. Un’occasione per conoscere da vicino un artista che ha superato grandi difficoltà e rappresenta le sue idee con i colori.
Il 14 settembre è partito il ciclo di incontri informativi organizzati dal Centro Multiservizi Villa Sormani, il Centro Diurno Integrato per Anziani (CDI) che coinvolge gli esperti di Fondazione Sacra Famiglia e di Casa di Cura Ambrosiana in partnership con Fondazione Cenci Galligani ONLUS e con il patrocinio del Comune di Cesano Boscone.
Gli appuntamenti hanno come tema centrale “L’anziano fragile a domicilio: quali bisogni e quali risorse”. Un programma ricco che animerà la stagione autunnale fino al 30 novembre, e affronterà un tema delicato come la cura degli anziani a casa, informando i familiari, che prestano loro assistenza, sulle possibili esigenze e sulle risorse necessarie per l’aiuto quotidiano.
Prossimo incontro il 9 novembre con un focus sull’alimentazione e l’idratazione per la qualità della vita dell’anziano e la presentazione dei servizi offerti dal Poliambulatorio specialistico di Casa di Cura Ambrosiana. A conclusione, giovedì 30 novembre si approccerà il tema legislativo con un approfondimento sulla tutela giuridica dell’anziano fragile: a supporto, gli esempi dei servizi domiciliari come Virgilio, volto a sostenere le famiglie nell’assistenza a domicilio dell’anziano e ad orientarle nella scelta delle soluzioni più adeguate.
Tutti gli appuntamenti saranno moderati dal Dr. Giovanni Gelmuzzi di Fondazione Cenci Gallingani Onlus e metteranno a disposizione esperienza e professionalità degli esperti di Fondazione Sacra Famiglia e Casa di Cura Ambrosiana.
La partecipazione è libera e gratuita.
Accogliere: un imperativo morale e un comandamento evangelico*
Questa riflessione esce nel periodo estivo, dove siamo tutti desiderosi di trovare un po’ di riposo, possibilmente con una vacanza rigenerante in qualche luogo accogliente e ben attrezzato.
Ma in queste settimane la cronaca ci continua a raccontare il dramma di centinaia e centinaia di persone che, prevalentemente via mare, cercano di raggiungere il continente europeo, lasciandosi alle spalle persecuzione, fame, molto spesso morte, morte sicura. Questa infatti è l’unica spiegazione per comprendere come sia possibile che intere famiglie, con tanto di bimbi piccoli e donne gestanti, vogliano tentare viaggi impossibili, affrontando rischi così grandi. Anche loro in fondo cercano un luogo accogliente, desiderosi di poter “trovare pace”, perché là dove stavano non potevano trovarne.
A tutto questo fa da contorno il continuo dibattito, se così si può chiamare, di coloro che sulla pelle di queste persone disperate, discutono sulla convenienza e l’opportunità dell’accoglienza, agitando i fantasmi di malattie, terrorismo, disoccupazione, facendo leva sulla paura e la scarsa conoscenza di questo fenomeno. È certamente vero che si tratta di un problema molto grave e che la gestione di flussi così massicci chiede la collaborazione di tutti e una seria riflessione sulle cause di quello che, anche rispetto a epoche storiche precedenti, è un movimento migratorio imponente e costante.
Non si tratta però di una emergenza, come continuamente si tende a dire, ma di un fenomeno stabile, che perdurerà nel tempo e che porterà nei prossimi anni a ridisegnare, almeno in parte, l’identità etnica delle nostre terre. Ma proprio per questo è importante che ciascuno faccia la propria parte: le istituzioni, i cittadini, la comunità ecclesiale ed è questo il motivo per cui anche noi come Sacra Famiglia, abbiamo deciso di raccogliere il grido e insieme la richiesta che ci ha raggiunto in questi ultimi anni, quella cioè di accogliere i migranti presso le nostre strutture.
Nelle nostre sedi di Cesano Boscone, Lecco e Verbania abbiamo aperto le porte a cittadini stranieri che, attraverso i canali istituzionali, sono entrati nei vari percorsi di accoglienza, in vista di una possibile integrazione nel nostro paese; al termine del 2016 erano in totale oltre duecento le persone accolte presso di noi. Ancora in queste settimane il Prefetto di Milano ci ha espressamente chiesto la disponibilità ad accogliere ancora qualcuno, proprio a causa della necessità crescente.
Sentiamo però che tutto questo non viene solo da una grave urgenza, che molti sentono come un imperativo morale, per noi si tratta anche, o forse prima di tutto, di un comandamento evangelico, un valore su cui si gioca la nostra fede: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato....” (Mt 25, 35).
Ci è chiesto dunque di riconoscere la presenza stessa del Signore in tutti coloro che si trovano nel bisogno e nella necessità, senza prima fare una indagine o un processo per capire se il bisogno viene da errori personali o cause sociali: chi ha fame o ha sete, chi è costretto a fuggire si trova in una condizione di necessità e in un certo senso di fragilità. Questo è un motivo sufficiente per aprirsi all’accoglienza.
Ma è proprio su questo tema della fragilità che come Sacra Famiglia da sempre siamo attenti a rispondere a chi non ce la fa da solo, ed è per questo che, nonostante l’accoglienza dei profughi non abbia fatto parte nel passato del nostro bagaglio di esperienza, ci siamo attrezzati e abbiamo imparato anche ad accogliere questo nuovo genere di fragilità. Si tratta di una esperienza di grande ricchezza e di vicinanza, di “contaminazione”, dove non ci si limita a dare ma ci si trova anche a ricevere molto.
Questa accoglienza è andata crescendo, avendo riconosciuto che il rimanere in ascolto dei bisogni, rende la Sacra Famiglia sempre più capace di crescere e di rinnovarsi. Riteniamo infatti che sia questa la strada per rimanere fedeli all’intuizione iniziale di mons. Domenico Pogliani, che ha voluto aprire anzitutto le porte di casa sua a chi aveva bisogno, ed ha sognato fin da allora una realtà capace di fare spazio e di accogliere gli ultimi e i più dimenticati.
Noi siamo oggi coloro che hanno raccolto il suo testimone, una eredità morale e spirituale e che, dopo aver celebrato lo scorso anno il 120° di fondazione, non ci accontentiamo di guardare al passato ma vogliamo guardare avanti, raccogliendo le sfide del presente. Quella dei migranti ci sembra oggi una frontiera sulla quale restare in ascolto e, per quanto ci è possibile, portare il nostro contributo e offrire la nostra competenza e il nostro impegno.
*di Don Marco Bove - Presidente di Fondazione Sacra Famiglia
Gravi condizioni di salute, malattie croniche e solitudine: ne parliamo con il direttore dei Servizi per anziani
«I nostri anziani sono spesso persone in gravi condizioni di salute ed è per questo che i famigliari decidono di ricoverarli in Rsa». Michele Restelli è il direttore dei Servizi per anziani di Fondazione Sacra Famiglia e spiega chi sono le persone che vivono nelle nostre residenze. «Molti – dice – non hanno la capacità di svolgere alcuna attività perché fortemente penalizzati dalle condizioni psicofisiche. Per molti la Rsa è un punto di arrivo definitivo. Noi, ovviamente, assicuriamo a tutti lo stesso trattamento di qualità, che nasce dal nostro know how, dalla nostra tradizione di integrare trattamento sanitario e sociale. La tecnologia ci pone di fronte a situazioni sempre più complesse che necessitano di alte competenze sanitarie, aggiornamenti strumentali e presa in carico non solo del singolo paziente, ma della famiglia. La relazione umana che sa accompagnare veramente l’ospite e la sua famiglia deve essere arricchita dalla competenza tecnica di ogni operatore, soprattutto quando abbiamo a che fare con l’anziano avviato verso il fine vita. Passaggi delicati e momenti che cerchiamo di condividere con le famiglie, alla ricerca della massima dignità e rispetto».
Altre volte la permanenza degli anziani è piuttosto lunga. «Nelle Rsa – aggiunge Restelli – abbiamo persone con malattie croniche. Patologie dalle quali non si guarisce, ma la ricerca tecnologica, lo sviluppo delle conoscenze e la qualità delle relazioni permettono di aumentare significativamente l’aspettativa di vita. Proprio il crescere dell’aspettativa di vita in situazioni complesse non permette alla famiglia di gestire la situazione con la serenità necessaria. Solo il marito o la moglie con il congiunto malato di Alzheimer conoscono le difficoltà che bisogna affrontare. Noi ci poniamo a fianco di queste famiglie nel gestire assieme la situazione».
Restelli pone infine l’accento su un’altra problematica. «Quando parliamo di fragilità della popolazione anziana – spiega – non dimentichiamo che chi viene da noi è seguito da una famiglia che affronta la questione. Esiste anche una fascia di anziani soli, senza rete, che facciamo fatica a intercettare perché nessuno rappresenta i loro problemi. Anche per questo abbiamo lanciato il servizio di Rsa Aperta dove non è più l’anziano a dover venire da noi, ma siamo noi che portiamo le nostre cure al suo domicilio. Altrettanto importante e strategico è il servizio Virgilio in cui anche l’anziano solo, attraverso una telefonata al numero verde, o che viene a contatto con uno dei nostri servizi, può trovare un professionista che lo ascolta e lo accompagna al servizio che risponde al meglio alle sue esigenze. Orientare le persone e le famiglie attraverso i meandri di ticket, CUP, trasporti, prenotazioni, accompagnandoli al servizio più vicino e immediato, è un lavoro che necessita di una guida affidabile e professionalmente preparata, ha bisogno di un Virgilio».
In occasione della scomparsa del Card. Dionigi Tettamanzi, la Fondazione Istituto Sacra Famiglia partecipa al cordoglio della famiglia e della Diocesi tutta, ricordando la figura di un Pastore attento, sensibile e vicino a tutti, in particolare ai piccoli e agli ultimi. Più volte ha visitato i nostri ospiti, manifestando il suo affetto e portando la sua benedizione. Nei momenti di particolare necessità ha sostenuto e incoraggiato il nostro Istituto, perché potesse continuare a svolgere il suo prezioso compito di accoglienza e di cura nel segno della carità cristiana.
Invocando l’intercessione dei santi Ambrogio e Carlo, di cui è stato insigne successore, il Presidente don Marco Bove con il Consiglio di Amministrazione, il Direttore Generale dott. Paolo Pigni, insieme a tutti gli operatori e i volontari, la Comunità dei Frati cappuccini e le suore di Maria Bambina, lo affidano alla misericordia del Padre.